Il lato occidentale di Brac – isola dalmata rocciosa e impervia – sprofonda nel mare a 45° scendendo a picco dalla cordigliera. I vigneti di Plavac Mali – il “piccolo blu” imparentato da qualche parte con il Primitivo – calano come una colata lavica verde smeraldo, in turbolento e folgorante contrasto con gli zaffiri abbaglianti del mare là sotto.
La bella cantina cooperativa di Bol, il paesello lì a fianco, è proprio adagiata sul porto, e funziona dai primi del ’900. Ora è nelle salde mani di Jako Vino, che ha ripianato (e ripiantato) un bel po’ di ettari bianchi e rossi, ravanando tra le pietre di questo suolo inospitale. Sangue dalle pietre, è questo l’immaginifico motivo che racconta questo Stina, passato in barrique per arrotondarne il carattere ellittico.
Un bel granato oscuro al cuore e brillante ai bordi, vivo e umbratile, nemmeno troppo viscoso. Animalità al naso, ricco di inchiostri e carte assorbenti, blu di frutta scura e carbone, profondo e umido come il pozzo di casa. Bracciante, ma non privo di una certa compostezza da uomo di fatica.
All’assaggio traspare un cominciamento di sintomi d’evoluzione, a ricordare la latitudine e il luogo: nel sorso poi scoppiettano tannini vivaci ma non scalcianti, corroborati da una riga alcoolica veridica e affilata. Sul finale s’eleva anche un’espressione più nervosa, una buccia schioccante che fa bene al cuore. Bicchiere incoraggiante, per una stupenda etichetta ultraminimalista.
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